Un profilo di
Aldo Capitini
di Annarita Gentile
(tratto da Palabre “Maestri della nonviolenza”
http://palabre.altervista.org/)
Ad Aldo Capitini,
pedagogista ed instancabile promotore di
attività politiche e sociali nonviolente, va il
grande merito di aver introdotto in Italia la
cultura della nonviolenza; il suo pensiero e le
sue azioni ispirano ancora oggi idee, gruppi e
movimenti che si occupano di nonviolenza.
Capitini nacque a
Perugia il 23 dicembre del 1899 in una famiglia
semplice, padre custode della torre del
municipio e madre sarta. Ritenuto inabile al
servizio militare per motivi di salute, non
partecipò alla prima guerra mondiale; così dal
1920 al 1922 si dedicò ai classici greci e
latini, studiando da autodidatta - aveva infatti
conseguito il diploma di ragioniere -
impegnandosi anche fino a dodici ore al giorno
ed indebolendosi fino all’esaurimento fisico: fu
in questa circostanza che, come Capitini stesso
dirà in seguito, fece esperienza del limite e
della fragilità umana. Nel 1924 passò l’esame da
privatista per la licenza liceale e grazie
all’alto punteggio ottenuto vinse una borsa di
studio presso la Normale di Pisa, dove conseguì
nel 1928 la laurea in Lettere e Filosofia.
All'inizio degli anni
Trenta era assistente di Momigliano quando
Giovanni Gentile, direttore dell’Ateneo pisano,
lo nominò segretario economo della Normale. E
proprio in questi anni trascorsi a Pisa,
Capitini cominciò a maturare la scelta
nonviolenta: nel pieno del clima violento
instaurato dal regime fascista, lesse
l’autobiografia di Gandhi pubblicata in Italia
nel ’29 e venne profondamente colpito
dall’esempio di lotta nonviolenta che il Mahatma
aveva condotta in Sud Africa e che stava
conducendo in India attraverso la
noncollaborazione e la disobbedienza civile.
Negli stessi anni in conseguenza alla scelta di
non uccidere, divenne vegetariano (sarà poi
negli Anni 50, che Capitini fonderà la Società
vegetariana italiana). Ma nel ’33, avendo
rifiutato il tesseramento al Partito fascista,
si dimise dal suo incarico alla Normale
sollecitato dallo stesso Gentile.
Tornato a Perugia, si
dedicò a scrivere testi che fornissero valide
motivazioni etiche per le quali rifiutare il
fascismo: nel ’36 Benedetto Croce farà
pubblicare la prima opera di Capitini,
Elementi di un’esperienza
religiosa,
che diventò presto uno dei principali
riferimenti letterari per la gioventù
antifascista. Ciò indusse Capitini, insieme con
Guidi Calogero, a stabilire un movimento
clandestino antifascista con lo scopo di
diffondere la propaganda contro il regime,
nell’anno stesso in cui erano stati uccisi i
fratelli Rosselli. Al movimento, cui aderirono
molti intellettuali, tra i
quali Walter Binni, Norberto Bobbio, Cesare
Luporini, Ugo la Malfa, Mario Dal Pra, fu dato
il nome di Liberalsocialismo: può risultare un
accostamento di compromesso di due termini
comunemente diametralmente opposti, ma l’idea di
Capitini era quella di unire in un unico sforzo
quanto di meglio potesse offrire il Liberalismo
delle idee e della libertà di affermarsi, con la
condivisione di una simile opportunità da parte
di tutti, rendendo tutti attivi e partecipi
anche alla vita economica.
Nel ’42 il movimento
fu scoperto e i suoi partecipanti arrestati e
rinchiusi nelle Murate di Firenze. Capitini
venne rilasciato dopo 4 mesi perché la censura
di regime ritenne innocui i suoi Elementi
e li considerò un semplice libro religioso. Nel
maggio del ’43 Capitini fu nuovamente arrestato
per essere rilasciato definitivamente nel luglio
successivo. Intanto con la fine del conflitto
molti degli aderenti al Liberalsocialismo
fondarono il Partito d’Azione: Capitini rifiutò
di aderirvi perché riteneva la forma di partito
un’istituzione che, con i suoi apparati che
prevedono una sorta di delega dei cittadini a
coloro che dirigono appunto il partito,
allontanasse i singoli dalla partecipazione al
potere che è di tutti (si pensi, ad esempio al
tesseramento, forma di esclusività che non
coinvolge tutti).
Egli preferiva invece
la forme del movimento, aperto a tutti quindi
più congeniale alla partecipazione allargata al
potere dal basso. Il filosofo umbro fu così
escluso dall’assemblea costituente nonostante il
suo impegno attivo contro la dittatura e per la
Repubblica.
Nel 1944 Capitini
fonda a Perugia il primo Centro di Orientamento
Sociale (COS), una contro-istituzione da opporre
alla realtà chiusa dei partiti. I COS erano
assemblee popolari nelle quali tutti potevano
intervenire, esporre la propria opinione,
presentare alla collettività sia problemi
amministrativi locali che questioni sociali,
politiche, economiche di rilevanza nazionale;
nessuno veniva escluso, motivo per cui per
prendere parte alle discussioni non era
richiesto alcun tesseramento o iscrizione. Lo
scopo principale del COS era lo sviluppo della
democrazia su un terreno di civiltà e
nonviolenza, fornendo alle moltitudini anonime
tutti mezzi necessari per comprendere la realtà
in cui vivevano, ed una volta presane coscienza
operare in essa per il miglioramento. Il COS era
il principio del potere dal basso ed
omnicratico, del superamento delle distanze tra
politici, intellettuali, funzionari e popolo.
Nonostante i COS si diffondessero in altre
città: (tra le principali Ferrara, Firenze,
Bologna, Lucca, Arezzo, Ancona, Assisi, Gubbio,
Foligno, Teramo, Napoli) e raccogliessero
consensi partecipati, furono ignorati dalla
sinistra ed aspramente criticati dalla
Democrazia Cristiana, che avviò una vera e
propria azione di ostracismo verso queste
riunioni, chiedendo addirittura alle autorità di
proibirle, riunioni nonviolente che costituivano
una prova alle potenzialità positive di un
potere decentrato. L’idea di centralità
di ogni singolo, di una società fatta dalla
partecipazione e dalle scelte dei suoi
componenti, che non devono subire l’autorità
dall’alto, ma essere forza attiva del
cambiamento, si rispecchia anche nella
concezione religiosa di Capitini. Egli
considerava la religione il convincimento
interiore di ognuno del rispetto verso l’altro
(il TU), verso gli animali e verso la vita in
qualunque forma si manifesti. La sua idea di
religione, fortemente ispirata dall’esempio di
San Francesco, era lontanissima da quella
istituzionalizzata della Chiesa Cattolica,
contro la quale Capitini indirizzò più
obiezioni. Già dagli anni del fascismo egli
restò più che disorientato dagli accordi del
Patti Lateranensi (quando invece per lui la
Chiesa avrebbe dovuto spingere i suoi fedeli a
rifiutare e a non collaborare con un regime
violento e antidemocratico). Nel dopoguerra
Capitini organizza con Ferdinando Tartaglia, un
ex-prete cattolico fiorentino, il Movimento
di religione con lo scopo di promuovere la
riforma religiosa in direzione dei principi
dell’apertura e del dialogo continuo verso tutte
le altre religioni, e soprattutto della
formazione spirituale di cittadini responsabili
e consapevoli della propria centralità nelle dinamiche
sociali, politiche, economiche; nell’ottobre del
’48 a Roma si tenne il Primo congresso per la
riforma religiosa.
E fu proprio durante
un convegno del Movimento di religione che
Capitini fu ascoltato da un giovane che restando
profondamente colpito dalle sue parole, maturò
la scelta di opporsi alla leva militare. Era
infatti Pietro Pinna, il primo italiano
obiettore di coscienza del servizio militare del
dopoguerra. Pinna fu processato, condannato ed
incarcerato più volte; fino al rilascio
definitivo e al "congedo" per motivi di salute.
Pinna divenne uno stretto collaboratore di
Capitini ed insieme promossero una serie di
iniziative per il riconoscimento dell’obiezione
di coscienza.
Nel ’52 in occasione
del quarto anniversario della morte di Gandhi,
il filosofo umbro fondò il primo Centro per
la nonviolenza. Nello stesso anno trasportò
l’esperienza dei COS in ambito religioso, con la
fondazione del COR, Centri di Orientamento
Religioso, con l’aiuto di Emma Thomas,
un’ottantenne quacchera inglese, con lo scopo di
far convergere la religiosità di tutti coloro
che vi avessero preso parte, qualunque fosse il
loro credo, per favorire la conoscenza delle
religioni diverse da quella Cattolica e per
offrire ai cattolici spunti per una riflessione
critica. La Chiesa locale vietò la
frequentazione del COR e quando nel ’55 Capitini
pubblicò Religione aperta il libro fu
messo nell’Indice dei libri proibiti. Tuttavia
Capitini collaborò con alcuni cattolici, tra i
quali don Milani e don Primo Mazzolari. Ma la
polemica con la Chiesa continuò dopo il Concilio
Vaticano II: con la pubblicazione di Severità
religiosa per il Concilio e la richiesta
dell’annullamento del battesimo.
Nel ’59 ritroviamo
Capitini tra i fondatori dell’ADESSPI,
Associazione di difesa e sviluppo della scuola
pubblica in Italia. Il 24 settembre 1961, negli
anni forse più cupi della guerra fredda, ha
luogo, organizzata da Capitini, la prima
Marcia per la Pace e la fratellanza dei popoli
da Perugia ad Assisi che ancora oggi
riproposta ogni due anni. Tra le iniziative
cominciate da Capitini e ancora oggi attive vi è
il Movimento nonviolento e il suo organo
di stampa Azione nonviolenta, di cui
Capitini fu direttore.
Capitini morì a
Perugia nel 1968 circondato da amici, in seguito
ad un intervento chirurgico. Negli ultimi anni
della sua vita aveva fondato e diretto il
periodico Il Potere di tutti nel quale
esponeva e chiarire i principi del suo progetto
di omnicrazia che Capitini poneva come obiettivo
della società nuova, nella quale il potere fosse
distribuito tra tutti attraverso un generale
decentramento del potere che però non avrebbe
dovuto creare diverse comunità chiuse ed isolate
l’una dall’altra, ma portare all’esistenza di
libere realtà autogestite, tra loro consociate e
collaboranti, anche internazionalmente, nel
rispetto della massima apertura.
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