di
Giancarlo Zizola, Il Sole 24 Ore, domenica 3
febbraio 2008
Il 13 dicembre 1931 Gandhi arriva a Roma, reduce
dalla II Conferenza della Tavola Rotonda a
Londra. La riunione si è risolta in un nuovo
fallimento per le divisioni del movimento
nazionale indiano, abilmente sfruttate dal
governo per rinviare ogni decisione sul
programma di partnership tra India e
Inghilterra proposto da Gandhi. Winston
Churchill si è rifiutato di riceverlo e la
stampa britannica lo classifica “il fachiro
nudo”. Lui ha preferito cogliere nelle
manifestazioni d’onore di cui è circondato in
Europa il segno dell’attrazione di un messaggio,
come il suo, che fa leva sulla forza intrinseca
della verità, sulla soglia dei totalitarismi in
Europa.
Le accoglienze popolari, ma anche di scrittori,
filosofi, politologi londinesi gli hanno fatto
balenare la speranza di un avvicinamento del
mondo cristiano a questi ideali. Per questo gli
sembra plausibile progettare un incontro con Pio
XI. Ha a disposizione solo tre giorni per la
tappa romana, dovendo poi imbarcarsi a Brindisi
per l’India e rende noto alle autorità vaticane
il suo desiderio. Si presenta l’opportunità di
un incontro unico fra la Chiesa romana e il
movimento della Nonviolenza. Gandhi è
incoraggiato dall’articolo pubblicato nella
prima pagina dell’ “Osservatore Romano” del 27
novembre, intitolato Come Gandhi parla di Dio.
A firma di “X”, il giornale vaticano ha
commentato con sorprendente calore la sua
conferenza alla Columbia Grammophone Company e
ha rintracciato nel suo linguaggio“reminiscenze
di Aristotele e di S. Tommaso” augurandosi che
“la voce di Cristo riesca a farsi ascoltare
anche da quest’uomo eccezionale, che mostra
tanto amore per la verità che rende liberi”.
Tuttavia
Gandhi aveva incontrato da tempo la figura di
Gesù. Sulla parete di fango della sua capanna
era appesa una stampa in bianco e nero con la
figura del Cristo e la scritta: “Egli è la
nostra pace”. Leggendo il Nuovo Testamento egli
era stato rapito dal Sermone della Montagna:
“E’ il Sermone che mi ha fatto amare Gesù.
Leggendo tutta la storia della sua vita in
questa luce, mi sembra che il cristianesimo
resti ancora da realizzare. Fintanto che non
avremo sradicato la violenza dalla nostra
civilizzazione, il Cristo non sarà ancora nato.
E’ il Sermone della Montagna che mi ha rivelato
il valore della resistenza passiva. Io fui colmo
di gioia leggendo: ‘Amate i vostri
nemici,pregate per coloro che vi perseguitano’
”.
“Voglio vedere
il papa, mi ha mandato un buon messaggio” ha
confidato Gandhi a Romain Rolland, patriarca del
pacifismo europeo e suo biografo, di cui è stato
ospite a Villeneuve, in Svizzera, tornando da
Londra.. “Se lo vedo, potrò trattare meglio con
gli indiani cattolici romani; e vedrei
volentieri il loro capo, come vedo i capi
musulmani”. In una riunione a Losanna Gandhi ha
affermato che prima pensava che “Dio è verità”,
ora invece era convinto che “la verità è Dio”.
Egli ha confermato di sentirsi attirato dalla
figura di Gesù Cristo, ma di essere frenato dal
cristianesimo così come è stato distorto dalla
mente greca di Paolo e riciclato dalla
cristianità in Occidente. Un giorno ha chiesto:
“Come può essere fraterno chi crede di possedere
la verità assoluta?”. Aveva esposto questa
convinzione in un discorso all’YMCA di Colombo
nell’isola di Ceylon nel 1927: “Se dovessi
considerare soltanto il Sermone della Montagna e
l’interpretazione che io ne do – aveva detto –
non esiterei ad affermare che sono cristiano. Ma
purtroppo bisogna ammettere che molto di quanto
viene spacciato per cristianesimo è una
negazione del Sermone della Montagna”.
La richiesta di udienza non viene accolta dal
Vaticano, che comunica che Pio XI è oberato di
impegni in quei giorni e che potrebbe ricevere
il Mahatma solo dopo qualche tempo. Secondo i
rapporti della polizia fascista il rifiuto
vaticano potrebbe esser dipeso da banali
questioni di abbigliamento, perché Gandhi “non
voleva assoggettarsi ad un vestimento più
decente”. Mussolini, lui, ha trovato bene il
tempo per riceverlo a Palazzo Venezia. Altra
spiegazione è che il papa temesse, ricevendo il
“ribelle”,di fare uno sgarbo all’Inghilterra,
dove conserva amici nella Chiesa anglicana,
teologi e intellettuali fin dai tempi del suo
lavoro alla Bodleian Library. Una terza ipotesi
sarà formulata alcuni anni dopo da Jawaharial
Nehru: il rifiuto sarebbe stato motivato dal
fatto che “la Chiesa cattolica non approva i
santi o i mahatma al di fuori della
propria circoscrizione” e poiché alcuni
ecclesiastici protestanti avevano definito
Gandhi un grande religioso e un vero cristiano,
“per Roma era diventato assolutamente necessario
distinguersi da questa eresia”.
Se non può vedere il papa, almeno riesce a
visitare coi segretari i Musei Vaticani, fuori
orario, per uno strappo concessogli in segno di
cortesia. Mahadev Desai, uno del seguito,
riferirà che ad attirare specialmente Gandhi non
sono i tesori d’arte, ma il grande Crocifisso
del XV secolo che sovrasta l’altare della
Cappella Sistina. Così avviene che la porta
chiusa dalla realpolitik vaticana apra al
profeta della nonviolenza l’incontro con la
figura del Cristo in croce, nel cuore del
Vaticano ed è questo Cristo che lo emoziona nel
profondo. Per molti minuti Gandhi rimane a
contemplare il grande Crocifisso,gli si
avvicina, lo osserva da sinistra, poi da destra,
quindi da dietro, sempre più rapito e commosso;
torna sui propri passi, gli gira intorno più
volte, come per eseguire il rito indiano della
circumambulazione di un oggetto di culto: “Non
si può fare a meno di commuoversi fino alle
lacrime” è il suo commento immediato. Tornerà
più volte a ricordare la commozione provata
allora, fino al pianto, di fronte alla
rappresentazione di un Uomo che aveva saputo
morire sulla croce per la salvezza dell’umanità.
I
biografi di Gandhi, sia in Europa che in Asia,
concordano nell’affermare che il soggiorno a
Roma lo fece diventare ancora più critico verso
l’Occidente e ancora più convinto che non v’era
altra soluzione per combattere i regimi
totalitari al di fuori della nonviolenza. Egli
considerava il fascismo, la guerra, i delitti e
la corruzione come altrettante dimostrazioni del
trionfo della violenza occidentale sulla morale
cristiana e sentiva pertanto che la violenza non
poteva curare i mali che essa stessa aveva
procurato.
Meno di due mesi dopo la mancata udienza, “La
Civiltà Cattolica” dedica al leader pacifista
due ampi articoli nei quaderni del 6 e 20
febbraio 1932, senza firma, sigillo di
autorevolezza istituzionale. Si possono cogliere
qui i motivi per i quali non si era considerata
matura né opportuna l’udienza papale. Nel primo,
si raccolgono i principali elementi della
biografia e della teoria denominata
Satyagraha (cioè fermezza della verità)
dell’“agitatore nazionalista indiano”, la cui
assimilazione a San Francesco anche da parte di
cattolici è vista come una “deplorabile
profanazione”, mentre si critica come nefasto il
suo programma di por fine al dominio britannico.
Il secondo articolo critica l’universalismo
religioso gandhiano, attribuendogli la mira di
induizzare il cristianesimo per renderlo
subalterno al suo programma nazionalista, o al
meglio per diluire il senso cristiano nel mare
dell’indifferentismo sincretista. Gli si
addebita di essere “infatuato dell’umanitarismo
pseudocristiano di Tolstoi”. Lo si paragona a
Machiavelli, benché gli si conceda la buona fede
di lottare per un ideale di giustizia per il suo
popolo.
Dovranno passare trentasette anni per poter
leggere,nella stessa “Civiltà Cattolica”
(I,1969), un saggio, Gandhi e la nonviolenza,
in cui si riconosce che “molte sue concezioni e
metodi sono diffusi in tutto il mondo, entrando
a far parte del retaggio dell’uomo moderno, del
quale ispirano la lotta per la liberazione
umana”, e hanno consentito di “conquistare per
il popolo dell’India l’indipendenza da una delle
più potenti nazioni imperialiste della storia”.
Ad essere apprezzato è il fatto che “per tutta
la vita il Mahatma restò un grande ricercatore
della verità, perché credeva fermamente che la
verità è inattaccabile ed inespugnabile”: “E’
strano – è la conclusione - che, mentre nazioni
cristiane ricorrono alla violenza per conseguire
i loro scopi, e cercano di giustificare la
violenza, abbia dovuto essere un indù, fedele e
convinto, a scoprire il legame tra verità e
nonviolenza per realizzare il cambiamento
sociale”.
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